Albano Rossi
nota critica per il volume "Gaston Vuiller - Visioni di Monreale - sei serigrafie di Sergio Mammina" - Edizione Linee D'Arte Giada

Per focalizzare gli esiti attuali del figurare di Sergio Mammina sembra, anzitutto, indispensabile rilevarne l'aspetto estremamente intellettuale, niente affatto estemporaneo, sia a livello ideativo, sia a quello del conseguente processo operativo: tutto lucidamente previsto, tutto rigorosamente e freddamente elaborato, come se l'artista assistesse dal di fuori alla nascita del dipinto o fosse puro strumento di una operazione da tempo scrupolosamente programmata. Sul piano strumentale, infatti, Mammina si avvale di tutti i mezzi atti a garantire alle immagini un alto grado di obbiettività, di neutralità, o meglio, di atarassia sentimentale, onde le immagini stesse non perdano il valore di prove inconfutabili, di documento, di testimonianza. Contrariamente a quel che potrebbe risultare da una osservazione tanto superficiale quanto errata, qui siamo del tutto fuori dal capriccio, della celia e anche della pur apparente ironia; si tratta, invece, di un incontro fortunato di misura estetica, e insieme morale, in un'epoca in cui il gioco prende il sopravvento sulla responsabilità dell'artista. Sergio Mammina non scherza a rimpiattino coi fantasmi di una varietà campionaria; non disperde intenzioni, progetti e idee in un gratuito sperimentale. Su tali basi le componenti tecniche, e persino il ricorso pressoché esclusivo alle chine colorate e agli acrilici, si configurano in una loro precisa valenza, come integrazione e compendio dei contenuti. D'altra parte, è il caso di dire che, nella struttura del quadro, questo suo modo organicistico, fondato su una tematica figurale ad alta incidenza analogica e sulla inamovibile essenzialità di ogni cosa, si presenta come raggelato in una teca di cristallo: animali, vegetali, prodotti della civiltà meccanicistica incombono con la loro incidenza ottica, con la loro formulazione iperrealista fino a costringere la mano del pittore in una deliberata asprezza espositiva esplicitamente volta a immobilizzare il tempo. Ed è proprio in questa immobilità, in questa fissità fisica ed emozionale che Sergio Mammina concentra il suo impegno creativo e, a torto o a ragione, ben si comprende che egli è esclusivamente sensibile al significato della immagine, in quanto non consente d'interpretare le sue opere nei termini di una metafora del reale. C'è un'allucinazione costante nel suo modo puntiglioso e scrupoloso di dispiegare sulla superficie della tela o del foglio un certo tipo di paradossale e contraddittoria imgerie, sì che le cose, collocate in bilico tra realtà e immaginazione, risultano preordinatamente pronte a tradursi in apparizioni oppure a confondersi con l'immutabilità del destino o con l'osservazione dell'incubo. Lo si potrebbe definire come un ingegnere del fantastico che si esercita nella combinazione di una vasta gamma di elementi linguistici sempre disponibili e alternati. Ma quel che rende particolarmente interessante l'opera di Sergio Mammina non è tanto l'individuazione di un significato curioso, bensì quanto ci permette di vedere per penetrare in una certa situazione che sia "oltre" il fatto dell'elemento convenzionale: e tale risultanza di fenomenicità viene efficacemente ottenuta mediante la visionarietà tipica di una certa surrealtà, congiunta alla lucidità delle immagini e alla crudezza quasi pedante e meticolosa della sua tecnica sorprendente, sempre sostenuta da un gusto rigoroso e calibrato. Così, dalla distribuzione delle immagini, secondo una loro rigorosa organicità, emerge non già un senso di tensione, ma di pervicace ricerca del progetto di un mondo dove tutto appare immoto, cristallizzato nell'attesa di un evento liberatorio, in un alt esistenziale che, come nei sogni o nelle allucinazioni, sembra incastonarsi nell'effigie del tempo, dando l'impressione di una persistenza senza fine.